Dell’Amore

Prima di diventare madre mi sono sentita dire così spesso “vedrai, imparerai ad amare in un modo che non puoi nemmeno immaginare” che in un certo modo ero preparata.

Certo, quell’amore lì, quello che ti arriva addosso come un’onda anomala, che ti tiene sveglio anche quando tutti dormono, che ti fa stringere lo stomaco per una lineetta di febbre e ti fa sembrare quel sorrisetto sdentato la cosa più bella e incredibile che tu abbia mai visto, a quell’amore lì non si è davvero mai del tutto preparati.

Però a forza di sentirmelo dire, di sapere che stavo per bere direttamente alla fonte dell’amore incondizionato, il mio cuore si era allargato un po’, pronto a contenere tutta quella materia densa e calda che stava per arrivare.

Ero preparata a quei lunghi minuti volati a osservare ogni piega del suo corpo perfetto, sapevo che il suo odore mi avrebbe inebriato più di un campo di lavanda, ero sicura che mi sarei trasformata in orsa, lupa e Godzilla pur di difenderla da qualsiasi male.

O almeno me lo auguravo con tutto il cuore, perché a volte non accade, non subito, perché la stanchezza e lo straniamento possono portare lontano, da quel bambino, da quell’amore tanto decantato, da se stesse.

Ma c’è una cosa a cui non ero per niente preparata.

Non è l’amore che ho provato e provo io a stupirmi, ma è l’amore che mia figlia prova per me a lasciarmi completamente senza parole.

Viviamo tutta la vita alla costante ricerca di un amore che ci accetti per quello che siamo, senza giudicarci e senza volerci cambiare, una persona che ci veda dentro senza filtri, che ci trovi bellissime appena sveglie la mattina, profumate dopo una settimana di influenza a letto, meravigliose senza se e senza ma. Desideriamo qualcuno che gioisca della nostra gioia, che si senta davvero, davvero bene tra le nostre braccia, che si illumini come un fuoco d’artificio ogni volta che ci rivede dopo un’assenza più o meno breve, qualcuno che si fidi ciecamente di noi, tanto da metterci tra le mani tutta la sua vita senza avere il minimo dubbio, che ci ami come non è possibile nemmeno dire o scrivere.

E va bene dai, lo faccio subito per evitare di protrarre ancora per troppo quello che potrebbe sembrare un equivoco, una precisazione dovuta per tutti quelli che amano le parole nel loro significato più preciso e che a questo punto della lettura stanno torcendo il naso disgustati: non è solo amore. E’ bisogno, dipendenza, necessità, paura, sopravvivenza, abitudine. Lo è il sentimento di un genitore per un figlio e quello del figlio per il genitore. Va bene? Accettato l’assunto, questa matassa di sentimenti e sensazioni si attorciglia e gonfia, scivola costantemente da un estremo all’altro, cresce, perde pezzi, ne trova di nuovi. Lo chiamo amore perché questo termine abusato alla fine suona bene e perché è breve e diretto, facile e impossibile (la mia professoressa di italiano del liceo, alla fine di ogni mio tema, scriveva con la matita blu “attenta agli ossimori”. Chissà perché.).

Quindi, dicevo.

Eppure quando succede è un abisso.

Una vertigine, una sensazione che oscilla tra la gioia più pura e il desiderio di scappare.

Tutto questo amore, per me?

Sicura?

Proprio io?

Perché una volta superato (superato?) l’atavico “me lo meriterò?” di derivazione cattolica, subentra il terrore della responsabilità che questo amore si porta dietro.

A tutto questo non si può scappare. Non si può e non si vuole, nel 99% dei casi. Ma c’è un 1% che chiede di spegnere l’interruttore un attimo, di staccare, di smettere di essere madre per un istante, che rivuole l’incoscienza, la leggerezza, l’assenza di un legame così assoluto. E’ tremendo da dire, ma è così. Succede a tutte, e se a te che stai leggendo non succede, scrivimi che vorrei tanto saperne di più.

Mia figlia quando sta male non concepisce il contatto di un corpo che non sia il mio. A volte non posso nemmeno andare a fare pipì. Lei mi guarda con i suoi occhioni sognanti e mi dice “stai con me, mamma” e io scoppio di gioia -e di pipì- mi sento lusingata e contemporaneamente non vedo l’ora che il corpo del papà sia oasi come il mio (succederà, vero?).

E quando mi sento tremenda, quando alzo la voce o non riesco a rispondere al 345esimo perché, quando non posso proprio mettermi sul tappeto con lei a giocare perché devo preparare la cena, o le do da mangiare una di quelle schifezze che prima di diventare madre “ah io mai”, quando le chiedo per favore, per favore ora dormi ma lei ha ancora tanto da raccontare, quando semplicemente sono stanca, succede sempre che lei mi accarezzi piano, mi dica “mamma ti amo”, mi guardi con la complicità che abbiamo solo noi facendo l’occhiolino, mi stringa una gamba stampandomi un bacio sul ginocchio e allora io mi stupisca di quanto il mio essere sghemba, distratta, assonnata, sbagliata, inquieta, per lei sia assolutamente, meravigliosamente perfetto.

A questo davvero non ero preparata.

E non sarò mai abbastanza grata.

Ecco, oggi, il giorno della festa della mamma, auguro a me e a tutte le mamme, la capacità di guardarsi, anche solo per un attimo, attraverso lo sguardo dei propri figli.

Amore e Grazia a tutte.

 

 

Elisabetta Balia

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